Ho 45 anni, sono felicemente sposata con un figlio di 20 anni. Ho vissuto la mia vita costruendomi il mio stato di donna, di moglie, di madre. L’ho fatto giorno dopo giorno, con la forza e la voglia di chi non ha mai voluto cedere le armi di fronte allo scherzo che mi ha fatto la natura di dotarmi di un corpo di donna in un cariotipo maschile. Sindrome di Morris, da resistenza agli androgeni o cos’altro, nessuno mi ha mai dato la giusta definizione al mio stato. Ero una bimba bellissima, esile, con gli occhi del colore del cielo.
Ho cominciato a scoprire che qualcosa in me non andava soltanto a 14 anni quando mia madre, preoccupata per l’assenza del menarca, mi portò da un ginecologo. Da 14 a 17 anni fui ricoverata più volte in un ospedale siciliano dove un medico prese a cuore il mio caso e iniziò le ricerche. Eravamo negli anni ’70 e forse allora non si sapeva molto di questa sindrome. Fui sottoposta a una serie di esami, di terapie ormonali, mi furono indotte le mestruazioni, mi fu detto che esisteva del tessuto ovarico che, probabilmente, si poteva ulteriormente sviluppare.
Per il resto l’utero c’era e gli organi genitali erano normali. Ma non mi fu mai fatta una mappa cromosomica.
Intanto crescevo dentro un corpo ben fatto. Ero alta, bella, affascinante. Il mio corpo mi permise di fare l’indossatrice. L’unica cosa che mi affliggeva era il seno poco sviluppato. Per il resto, esteriormente, madre natura non mi aveva fatto mancare niente. A vent’anni, conosciuto l’amore della mia vita, mi sono sposata. A mio marito ho spiegato il mio stato, che forse non avrei potuto avere figli, ma a lui non importava. Mi amava, voleva me e il resto non contava.
Tuttavia, dopo alcuni mesi di matrimonio in me cominciò a crescere il desiderio di avere un figlio. Per cinque anni mi hanno illusa, sottoposta persino a fecondazione artificiale per ben quattro volte, a terapie ormonali per indurre l’ovulazione a controlli estenuanti della temperatura basale e a quant’altro potesse soltanto farmi continuare a vivere nell’illusione. Intanto mio marito fu trasferito in una città del Nord e lì decisi di rivolgermi a una struttura ospedaliera all’avanguardia. Il primo esame cui mi sottoposero fu la mappa cromosomica: cariotipo XY normale!!!
Quante illusioni! Quante torture per nulla! Nel giro di pochi giorni fui sottoposta a ovariectomia bilaterale nel terrore che già potesse esserci stata una degenerazione. Ho affrontato l’intervento come chi sa di essere spacciato e giurando a me stessa che se tutto fosse andato bene, avrei affrontato la vita e il mio stato con grinta e coraggio. Quel coraggio che mi era venuto meno il giorno in cui mi furono comunicati i risultati della mappa cromosomica e io per un momento avevo accarezzato l’idea di farla finita. L’utero non mi fu asportato e nel tessuto ovarico, fortunatamente, non c’era stata nessuna degenerazione.
Sono rinata a 26 anni. Ho dovuto affrontare un periodo in cui non sapevo più realmente chi fossi. Mi chiedevo come potessi avere un cariotipo maschile, io che mi ero sempre sentita una perfetta donna! Io un uomo?! Pura follia! Ho affrontato tutto da sola. Ho risalito la china dell’equilibrio. La mia famiglia, un po’ per ignoranza, un po’ per mia reticenza, non ha mai saputo – o forse non ha mai voluto capire – quale fosse di fondo la causa del mio dramma.
Ho preso il coraggio a due mai, mi sono rialzata e ho ripreso a vivere, ad apprezzare il sole che spunta al mattino, a capire e ad aiutare attorno a me chi soffre perché non sia solo ad affrontare il suo dramma.
Dopo tre mesi dall’intervento io e mio marito abbiamo avviato le pratiche per l’adozione e dopo sei mesi Dio ci ha donato un figlio di appena quindici giorni che ho partorito col cuore. Oggi i miei unici problemi sono determinati da una seria osteoporosi poiché all’epoca non mi fu mai detto di seguire una terapia sostitutiva, cosa che ho fatto di recente quando ormai, però, il danno è fatto ed è irrimediabile.
Sono una donna serena, mi sono laureata a 40 anni, ho un’entusiasmante professione e un’ottima posizione sociale, sono una moglie amata e una madre felice. Ma quanto mi è costato! Spesso mi fermo a riflettere: nella mia vita non ho fatto altro, lottando con i denti, che prendermi ciò che la natura aveva tentato di negarmi. E ci sono riuscita. Sono nata donna e da donna voglio vivere i miei giorni. La natura con me non ha vinto, l’ho beffata io.
N.B. Diversi elementi di questa storia fanno pensare che la diagnosi di AIS non è corretta: molto probabilmente Giulia non ha una forma di AIS, ma un’altra Differenza dello Sviluppo del Sesso.