Ho 22 anni, vorrei raccontare la mia storia poiché a differenza delle altre, la mia, sfortunatamente, non ha ancora avuto una fine serena e tranquilla e credo che questo possa essere utile per tutte le ragazze che, come me, ancora non sono riuscite a digerirla questa situazione, nonostante tutti gli input ricevuti da parte di medici, psicologi, amici e quanti altri hanno provato a farci capire che in fondo il complesso legato alla Sindrome di Morris si può affrontare e superare senza limitare la bellezza della vita stessa.
Purtroppo non tutte le favole hanno un lieto fine, la mia storia inizia all’età di 13-14 anni. Ero alle scuole medie, e come tutte le mie coetanee facevo parte di un gruppo di amiche con le quali si parlava degli argomenti più usuali per quell’età: “A quanti anni sei diventata signorina, che taglia di reggiseno porti, che assorbenti usi, infatuamenti per i ragazzi ecc. ecc…”. Anche io facevo parte di questa realtà ma mi sentivo sempre al margine, molto distaccata e lontana da quelle parole, quasi come se pur essendo in un caos di voci, vivessi in una bolla che mi permettesse di guardarci attraverso ma di non sentire niente… niente, per l’appunto!
Niente mi legava alle mie amiche, perché tutte quelle cose di cui parlavano non mi appartenevano affatto, anzi, mi davano noia e man mano che andavo avanti finivo sempre con l’allontanarmi sempre di più. Ero giovanissima certo, ma non così stupida da non vedere il mio seno sempre piatto, le mestruazioni che non arrivavano, la mia pelle che per un giorno esposta al sole si bruciava letteralmente e poi cosa più importante la mia personalità da maschiaccio. Da bambina ho sempre fatto a botte coi maschi, giocato con le macchinine e mi sono sempre arrampicata sugli alberi (non che le femminucce non possano farlo, ma non le definirei attività prettamente “femminili”), per non parlare del gusto nel vestirmi con abiti sportivi e infine della mia identità sessuale. Ebbene sì, non so di sicuro se ciò dipenda direttamente dai cromosomi XY che mi ritrovo, eppure mi sono sempre piaciute le ragazze e ciò ad aggravare la mia sfera psicologica nonché a complicare ulteriormente la situazione.
Mia madre aspettava le mestruazioni come la manna dal cielo, sperando che fosse solo un ritardo nella crescita, che prima o poi sarebbero venute, come a tutte… e invece no, che gran delusione! Da li partirono decine e decine di visite mediche e ricoveri continui, cosicché mi ritrovai a 16 anni come cavia da laboratorio di un gruppo di tirocinanti che uniti ad altri professori identificarono la patologia nonché l’urgenza di effettuare l’operazione di asportazione dei testicoli (vale a dire le cisti che sarebbero poi potute diventare qualcosa di peggio). Da sottolineare che in tutto questo andare avanti e indietro io ero tenuta all’oscuro di tutto e cominciava a svilupparsi la mia curiosità a riguardo: mi ponevo domande a cui non sapevo rispondere del tipo: “Perché a 16 anni vado dallo psicologo? Perché prendo sta pilloletta rosa ogni mattino? Perché ogni 3 mesi mi ricoverano?” Perché… perché… mille infiniti perché.
Stufa di tutto questo mistero, cominciai a indagare da sola e aprendo un cassetto nella camera di mia madre trovai una cartella clinica con sopra il mio nome e quello della patologia diagnosticata: CAIS. Colsi l’occasione di soddisfare tutta la mia sete di sapere nella mia festa dei 18 anni: mi venne regalato un computer, lo allacciai a Internet e grazie al vostro sito (non so se dire per fortuna o no – scherzo ovviamente ) venni a conoscenza di tutto. In quel momento non ci sono parole per descrivere il lampo di pazzia che mi attraversò il cervello… tutto si ricollegava, tutto era chiaro… adesso sapevo! Sapevo ogni cosa… dopo 3 secondi scoppiai a piangere perché mi resi conto che tutti i miei sogni erano irrimediabilmente infranti: non potevo avere figli, né un rapporto sessuale a causa dell’ipoplasia vaginale, la mia peluria non si sarebbe sviluppata mai più di tanto, e il mio corpo non sarebbe mai “sbocciato” naturalmente come per tutte le mie coetanee. Ero sola, e dopo lo sfogo del pianto arrivò l’ira… la rabbia, il rancore verso tutti quelli che non mi avevano mai detto niente: i medici, gli psicologi, mio padre e mia madre… lei dalla quale l’avevo ereditato quello stramaledetto gene difettoso, proprio lei… perché mi ha considerata così stupida o ingenua da non capire la situazione semmai me l’avesse spiegata? Non poteva semplicemente starmi vicino e raccontarmi tutto? Mesi e mesi di sedute psicoterapeute a parlare della mia presunta aggressività… e nemmeno una parola a riguardo. Quella rabbia non era controllabile, così cominciai ad abbandonarmi al folle piacere di auto-lesionarmi. Di lì a poco diventai bulimica e per circa un paio di mesi mi chiusi in me stessa senza voler vedere nessuno. Però pian piano cominciai ad apprezzare anche ciò che potevo fare senza limitarmi a ciò che mi mancava e soprattutto pensai che comunque c’è chi sta peggio di me (anche se per capirlo c’ho messo un po’).
Oggi mi ritrovo a 22 anni, ho accettato la mia forma di AIS, ne sono a conoscenza e vado avanti, lavoro, studio all’università, esco con gli amici e faccio le cose normali di tutti i giorni. Però se devo essere sincera, mi porto dietro un grande odio verso mia madre specialmente, un odio che non sono riuscita a liberarmene, un odio che talvolta viene fuori con degli attacchi d’ira e che nelle crisi più depressive riesco solo a calmare con l’autolesionismo. Lo so sono grande e certe cose non dovrei nemmeno pensarle, ma nessuno è perfetto… credo fortemente che un domani riuscirò a trovare più o meno un equilibrio, ma nel frattempo, vago nelle tenebre aspettando un’occasione per redimermi e dimostrare che nella vita anch’io posso lasciare un segno positivo che non sia necessariamente un figlio “naturale”.